Il Decreto del 22 marzo, l’ultimo emanato dal Consiglio dei Ministri, prevede la chiusura la chiusura di tutte le attività produttive cosiddette non essenziali. Tuttavia concede alle aziende tempo fino al 25 marzo per completare le lavorazioni in corso e spedirle ai clienti.
Accolta dunque una delle richieste delle imprese , ossia di avere i tempi tecnici adeguati per chiudere o terminare suddette lavorazioni prima che entri in vigore la chiusura.
Tessile-Confezione, le attività consentite
Il decreto specifica che “sono sospese tutte le attività industriali e commerciali, ad eccezione di quelle indicate nell’Allegato 1” e che “restano sempre consentite anche le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui Allegato 1”.
Consentite quindi, nello specifico del Tessile-Confezione:
– Fabbricazione di altri articoli tessili tecnici ed industriali
– Fabbricazione di tessuti non tessuti e di articoli in tali materie (esclusi gli articoli di abbigliamento)
– Confezioni di camici, divise e altri indumenti da lavoro
– Fabbricazione di attrezzature ed articoli di vestiario protettivi di sicurezza
Qui è disponibile l’Allegato 1 in forma completa.
La riconversione: un aiuto per tutti
Lasciare aperte e funzionanti tali attività è una soluzione semplificata che potrà essere di aiuto, come sottolinea il comunicato di Confindustria Toscana Nord di oggi, per sanare quello che è apparso fin dall’inizio come un punto cruciale della questione, soprattutto per il Tessile-Abbigliamento.
Questa procedura potrebbe anche servire per rendere operative senza altri ostacoli le imprese riconvertite o in via di riconversione produttiva verso mascherine e dispositivi di protezione, non necessariamente fornite del codice Ateco corrispondente. Salvaguardate anche attività di consulenza necessarie all’attività aziendale; la riconversione infatti coinvolge anche aziende che fino a oggi si occupavano di altro (nel Tessile, nell’Abbigliamento e anche nel Calzaturiero).
Da un calcolo del Centro Studi di Confindustria Toscana Nord emerge che, limitandosi al manifatturiero, le imprese classificate come essenziali e che quindi sono autorizzate a rimanere aperte nel complesso delle tre province saranno il 24% del totale, corrispondente al 31% degli addetti.
La percentuale emerge dall’analisi dei codici Ateco (la classificazione ufficiale delle imprese in base alle loro specializzazioni produttive), che costituiscono il discrimine fissato dal decreto per stabilire chi può rimanere aperto e chi invece dovrà chiudere. È possibile che la percentuale effettiva delle imprese che rimarranno aperte sia a regime leggermente più alta, ma con queste imprese aggiuntive si arriverebbe a pochissimi ulteriori punti percentuali.
Significativamente diversa la situazione nelle tre province:
– a Lucca rientra nei codici Ateco autorizzati all’apertura il 40% del manifatturiero (56% degli addetti);
– a Pistoia il 29% del manifatturiero (32% degli addetti);
– a Prato il 14% del manifatturiero (13% degli addetti; ancora inferiori i dati del distretto tessile, che include anche comuni limitrofi del fiorentino e del pistoiese e che segna il 10% delle imprese e il 12% degli addetti).
Per quanto riguarda i servizi alle imprese il dato è pressoché uniforme per le tre province e indica il 47% delle attività aperte, corrispondenti al 50% degli addetti.