Avv. Giuseppe Croari – Dott. Silvio Severino
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Da tempo prosegue una battaglia legale senza esclusione di colpi tra il brand Supreme (NYC) e quello che è stato definito un “legal fake”, ossia Supreme (IBF), diretto concorrente inglese più accessibile.
Qual è la differenza tra legal fake e falso? Cosa dice in merito la normativa che tutela la proprietà dei vari brand? Seguiamo la vicenda in ambito sia europeo sia italiano.

 

Supreme (NYC), l’icona dello Streetwear newyorkese, il sogno proibito di molti ragazzini e giovani adulti, e Supreme (IBF), la diretta concorrente che commercializza Streetwear a prezzi più accessibili, non riescono a stare lontane dalle aule di Tribunale, o almeno così sembrerebbe.

La disputa vede contrapposte la Chapter 4, società statunitense proprietaria del celebre marchio e dei pochissimi store che ne commercializzano i capi d’abbigliamento, e la International Brand Firm (IBF), società inglese che possiede le “sorellastre” Supreme Italia e Supreme Spain: ossia quelli che sono stati definiti, a varie riprese, come i legal fake della Supreme di New York City.

La vicenda va ormai avanti da anni, a colpi di azioni legali e pronunce in Tribunale, ma ad oggi risulta ancora difficile capire chi sia dalla parte della ragione e chi dalla parte del torto. Probabilmente, le distinzioni non sono così nette come sembrano.

Cos'è un legal fake
Legal fake”, termine di derivazione giornalistica, sta a indicare un prodotto molto simile – in alcuni casi quasi identico – all’originale, che viene commercializzato sfruttando il segmento di mercato e la popolarità raggiunta dal brand “padre”.

La differenza con un falso vero e proprio sta nel fatto che il legal fake viene prodotto e commercializzato rispettando la normativa in materia di proprietà intellettuale.

Ciò risulta possibile perché l’azienda che produce il fake riesce a registrare un marchio quasi del tutto identico a quello originale in alcuni Paesi in cui la società detentrice del brand originale non ha richiesto la tutela giuridica, lo ha fatto in ritardo oppure non è riuscita a ottenerla.

Supreme (NY) Vs il legal fake Supreme (IBF)

La querelle di proporzioni globali è nata dopo che IBF ha pensato di commercializzare capi d’abbigliamento molto simili a quelli prodotti da Chapter4.

L’idea si è rivelata vincente per due semplici ragioni:

  • da un lato i capi marchiati Supreme godevano già di una grande popolarità;
  • dall’altro la politica di James Jebbia, fondatore di Supreme (NYC), è sempre stata quella di commercializzare un prodotto di nicchia, mettendo a disposizione degli appassionati pochissimi capi, acquistabili soltanto in pochi store selezionati. La società con sede in Inghilterra ha quindi pensato bene di colmare il vuoto lasciato nel cuore degli appassionati, inondando il mercato con prodotti di buona qualità a prezzi più contenuti.

La querelle a livello europeo

Supreme (NYC) nel 2018 ha deciso di tutelare il suo iconico marchio presentando apposita domanda all’Ufficio europeo per la proprietà intellettuale (EUIPO), al fine di garantire la protezione del marchio in tutta l’Unione Europea.

Tuttavia, la procedura di registrazione del marchio non ha avuto finora esito positivo.

L’Ufficio europeo ha valutato il marchio in questione come scarsamente descrittivo, cioè come inidoneo a dare informazioni circa i prodotti sui quali viene apposto e a renderli facilmente distinguibili: prodotti che includono il settore dell’Abbigliamento a 360° e non solo.
Secondo l’Autorità, la natura scarsamente descrittiva del marchio escluderebbe il carattere distintivo dello stesso. La mancanza del carattere distintivo rientra tra gli impedimenti assoluti all’accoglimento della domanda, come previsto dall’art. 7 del Regolamento sul marchio dell’Unione Europea.

Ma c’è di più. Secondo la medesima Autorità la dicitura “Supreme”, seppur inserita nel famoso rettangolo rosso, rientrerebbe anche nell’ipotesi di un ulteriore caso di impedimento assoluto alla registrazione, ai sensi della lettera c) dell’art. 7 del Regolamento.

Infatti, i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che rappresentano la qualità di un prodotto o di un servizio non possono ottenere la tutela comunitaria e, dunque, non sono registrabili. Anche con riguardo al font utilizzato, seppure in qualche modo inquadrato in una precisa scelta stilistica, non si rinvengono, a giudizio dell’EUIPO, caratteristiche distintive degne di nota.

Infine, sempre secondo l’Ufficio di Alicante, il significato letterale che la parola “Supreme” evoca nelle lingue inglese e rumena potrebbe generare nei consumatori la convinzione, del tutto aprioristica, che i beni o servizi che si fregiano di tale marchio siano di una qualità eccelsa, assoluta, fuori dal comune.

Italia: la pronuncia della Corte di Cassazione

In Italia, Supreme (NYC) aveva depositato la domanda per la registrazione del marchio nel 2015. Poi, a distanza di un mese, un marchio quasi identico, denominato Supreme Italia, era stato depositato dalla International Brand Firm.

Da quel momento è stata una battaglia giuridica senza esclusione di colpi.

 

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