Avv. Giuseppe Croari, Dott. Pietro Sambataro
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Gli ultimi sviluppi dell’aspra diatriba legale che si protrae ormai da anni fra Supreme (di Chapter 4, società newyorkese) e Supreme Italia (di International Brand Firm o I.B.F., radicata a Barletta) inducono a riflettere sull’idea di “legal fake”.

Il termine, nato nel linguaggio giornalistico proprio per descrivere questa vicenda, sta a indicare l’utilizzo di scappatoie legali per commercializzare beni molto simili – se non identici – a prodotti di marchi notori. La differenza con un falso vero e proprio, dunque, sta nel fatto che il legal fake viene prodotto e distribuito rispettando la normativa in materia di proprietà intellettuale.

Le ultime novità, però, fanno sorgere nuovi dubbi sulla possibilità di mettere in piedi sistemi di “contraffazione a norma di legge”. Vediamo cosa è successo di recente.

Contesto: 'First to File' e 'First to use'
Credits: Supreme

Come abbiamo già esposto in precedenza [vedi il primo articolo di Technofashion su questo argomento], si è consumata in questi anni una vera e propria battaglia legale nata dal fatto che IBF ha deciso di produrre e distribuire capi di abbigliamento molto simili a quelli di Chapter 4, famosa in tutto il mondo per il marchio “Supreme”.

IBF infatti ha registrato un marchio quasi del tutto identico a quello della società newyorkese nei Paesi in cui l’altra società non ne aveva richiesto la tutela giuridica, lo aveva fatto in ritardo oppure non era riuscita a ottenerla (ad esempio Italia, San Marino, Spagna, Indonesia e Israele).

La scappatoia giuridica si basa sul principio del “First to file”, secondo cui è protetto dalle norme in materia di proprietà industriale colui che deposita per primo la domanda di registrazione di un marchio. La domanda di protezione ha effetti solo nella giurisdizione e per le classi di beni per cui viene presentata.

Ciò che potrebbe risultare a norma in un determinato ordinamento giuridico, in particolari situazioni, potrebbe non essere legale in altre giurisdizioni. Accanto ai Paesi che fanno riferimento al principio “First to file”, ce ne sono altri che impiegano la regola del “First to use”, secondo cui ha diritto ad essere tutelato colui che dimostra di aver utilizzato per primo il segno distintivo.

I risvolti recenti: la controffensiva di Chapter 4

A fine 2020 Supreme NY ha ricevuto da parte dell’EUIPO (Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale) la registrazione del suo marchio in tutta Europa.

Quindi in tutti i Paesi Membri la società newyorkese potrà beneficiare della tutela offerta dalla privativa industriale, avvalendosi dei diritti esclusivi e della proprietà del marchio registrato.

Successivamente, secondo quanto riporta Bloomberg, con sentenza del 25 giugno 2021 il giudice inglese Martine Beddoe avrebbe comminato un’aspra sanzione a IBF e ai relativi esponenti:

  • gli esponenti sarebbero stati condannati a 8 e 3 anni di reclusione;
  • a IBM sarebbe stato ingiunto di corrispondere a Supreme un risarcimento di 7.5 milioni di sterline.

Nella motivazione, la Corte avrebbe sostenuto che IBF “ha depredato ogni aspetto dell’identità [di Supreme] e l’ha plagiata” (“hijacked every facet of [Supreme’s] identity and plagiarized it”)”.

Le conseguenze della sentenza

Credits: Supreme

Gli ultimi sviluppi della controversia tra Supreme NYC e Supreme IBF, quindi, rimettono in discussione l’effettiva possibilità di mettere in piedi sistemi di legal fake.

A livello giuridico, quale utilizzo dei diritti di proprietà intellettuale è considerato tendenzioso? Inoltre, quale trattamento sanzionatorio potrebbe essere riservato in Italia a chi risulta coinvolto in fenomeni di contraffazione? Quali sono le differenze nelle conseguenze previste per chi contraffà e per chi acquista un legal fake?

 

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