Fibre e tessuti realizzati con residui di carciofo bianco

L’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale e l’associazione Donne in Campo Cia-Agricoltori Italiani hanno condotto un’indagine relativa alla produzione di fibre e tessuti da fonti naturali e di recupero.

Dai risultati raccolti con lo studio è nato il volume “Filare, tessere, colorare, creare. Storie di sostenibilità, passione ed eccellenza”, presentato il 21 marzo a Roma presso l’Auditorium Giuseppe Avolio.
Lo scopo dell’iniziativa dedicata agli agri-tessuti è raccontare storie di eccellenza green italiana, per offrire esempi eccellenti di biodiversità, innovazione ed economia circolare nel settore del Fashion.

Alcuni esempi concreti

L’incontro ha messo in luce buone pratiche e attività di agricoltori, artigiani e aziende che sono stati in grado di raggiungere risultati sorprendenti in quanto a originalità e sostenibilità.

Un esempio sono vestiti e accessori tinti utilizzando colori 100% naturali, realizzati con scarti agricoli come le foglie del carciofo bianco, le “tuniche” delle cipolle ramate, le scorze del melograno, i ricci del castagno o i residui di potatura del ciliegio e dell’ulivo.
Molti sono i vantaggi delle tinture naturali, collegate all’uso di fibre vegetali e animali (dalla lana alla seta, dal lino alla canapa): Donne in Campo Cia-Agricoltori Italiani e ISPRA hanno sottolineato infatti che una quota crescente di popolazione ha problemi di dermatiti allergiche da contatto dovute ai coloranti sintetici. Inoltre, recuperare piante e scarti di coltivazione a uso tintorio permette di riqualificare aree dismesse o degradate; un ulteriore vantaggio sono il consolidamento dei versanti, grazie all’elevato adattamento pedo-climatico, e la tutela della biodiversità e del paesaggio.

Assunta Perillilavora con metodi tradizionali un’antica varietà di lino autoctona

Parlando di fibre animali e vegetali, Assunta Perilli – archeologa e tessitrice dell’Aquilano – ha riscoperto un’antica varietà di lino autoctona e le sue lavorazioni tradizionali, e da più di dieci anni si occupa di tessitura a mano di questo materiale. È stata lei a confezionare, con un autentico telaio appartenuto alla nonna, il kilt donato a Carlo d’Inghilterra dal sindaco di Amatrice nella sua visita dopo il terremoto del Centro Italia.

Il Consorzio biellese, inoltre, raccoglie la lana grezza prodotta dagli allevamenti ovini italiani: lavandola e lavorandola con detergenti biologici e biodegradabili e tinte naturali, trasforma quello che è considerato un sottoprodotto da smaltire (con costose procedure) in filati di pregio.

Tra i protagonisti anche la collezione Moda “Forests For Fashion”, che ha fatto sfilare per la prima volta abiti di origine forestale. Le ecodesign Francesca Dini e Anna Maria Russo hanno realizzato i capi partendo da filati di cipresso, pelle di fungo e tessuti in sughero, eucalipto e faggio.

Alcuni abiti del progetto “Forests For Fashion”

Originale e di successo anche l’idea di Gianni Berna, che per primo ha pensato di introdurre in Italia (in provincia di Perugia) un allevamento di alpaca. Questo gli ha consentito di costruire una filiera completa dell’agro-tessile: dal gregge e dalla tosatura e filatura della lana fino al confezionamento di maglioni, sciarpe e coperte.

Gianni Berna, proprietario dell’azienda Maridiana Alpaca, fra esemplari di alpaca femmine. Presso Maridiana Alpaca, Umbertide (PG) il 25/10/16.
(2016 © Pietro Adami)
“Investimento

L’Onu, nell’Agenda 2030, sottolinea la necessità di concentrare le forze nello sviluppo di processi di riduzione dell’inquinamento e di degrado ambientale e di mitigazione dei cambiamenti climatici. Una valida strada è senza dubbio il costruire nuovi sistemi di produzione agricola e zootecnica che abbiano un minore impatto ambientale.

Oggi una maglietta richiede in media 2.700 litri d’acqua per essere prodotta, genera elevate emissioni di CO2 e utilizza soprattutto fibre e coloranti di sintesi.
Le potenzialità di una filiera del tessile ecologicamente orientata sono enormi, considerando che la produzione mondiale di indumenti è destinata a crescere del 63% entro il 2030. Un dato di rilevanza non indifferente indica che, già ora, il 55% degli italiani è disposto a pagare di più per capi di abbigliamento ecofriendly.