Il Fashion è un mondo ad alta occupazione femminile: perché, dunque, è così difficile per le donne rompere il “soffitto di cristallo” e arrivare a ricoprire ruoli di rilevanza manageriale?

La Moda in Italia è progettata, selezionata, programmata e venduta per lo più da uomini. Nei CDA delle imprese italiane le donne sono il 20%, poche se pensiamo che in Francia raggiungono il 43%. Eppure nel ruolo di sarte, operaie, impiegate e modelliste rappresentano il 70% della forza lavoro della Moda e il 48% degli addetti del settore tessile, a conferma della caratterizzazione femminile del comparto.

La stessa difficoltà si registra anche nelle imprese di famiglia, dove a figlie e nipoti vengono affidati principalmente ruoli nell’ambito della comunicazione. Questo, in sintesi, quanto emergeva da una ricerca svolta da PwC per il Foglio pubblicata nel maggio di un anno fa.

Le cause sembrano essere soprattutto di natura culturale e sociale: le donne disposte a stare lontane dalla famiglia fino a 200 giorni l’anno sono poche, si legge, e in genere quelle che si impegnano nei livelli più alti sono costrette a rinunciare a una vita privata.

Verrebbe da pensare che oggi ci si trovi nella stessa situazione di 100 anni fa.

E per quanto riguarda le imprenditrici?

NeI Rapporto “Imprenditoria femminile 2020” di Unioncamere, l’Industria della Moda si guadagna il 2° posto tra i settori a maggior componente rosa con il 37,7% (dopo Wellness, Sanità e Assistenza sociale che toccano il 59,1% e prima di Istruzione e Turismo&Cultura, con un 36,3%).

Certo, si tratta spesso di piccole e microimprese, quando non di ditte individuali: una riprova del desiderio di molte donne di affermarsi realizzando una propria attività professionale.

Apparentemente sembra un paradosso: non mancano le imprenditrici nell’artigianato, ma nelle aziende più strutturate – e ancor di più in quelle di grande dimensione – il management femminile stenta a crescere.

La situazione attuale

Patrizia Tettamanzi insegna Economia aziendale presso la LIUC – Università Cattaneo e Financial Reporting and Analysis presso l’Università Bocconi. Insieme a Valentina Minutiello, ricercatrice PON di Economia aziendale sempre presso la LIUC, ha svolto uno studio approfondito su Moda al femminile e sostenibilità, sintetizzata in un volume di recente pubblicazione. Le abbiamo chiesto di commentare i dati raccolti.

La presenza della componente femminile nella Moda ha una lunga tradizione e la principale motivazione risiede proprio nel carattere di artigianalità tipico del settore. Infatti, in questo ambito le donne hanno maggiore possibilità di esprimere la propria creatività e sensibilità.

Tuttavia, è purtroppo da evidenziare anche un altro aspetto: le imprenditrici femminili dirigono in larga parte imprese di piccole dimensioni e/o a composizione familiare. Non è un caso: da un lato, questo tipo di struttura garantisce una maggiore flessibilità e un più stretto contatto con tutti i collaboratori coinvolti; dall’altro, tale dato è sintomatico di quanto le donne facciano ancora fatica ad imporsi in realtà più strutturate.

In questo senso, la locuzione latina “homo faber fortunae suae” sembra essere appropriata: le donne imprenditrici si affermano quando avviano una propria attività (e quindi sono responsabili del loro “destino”), mentre non sono ancora pienamente valorizzate nella direzione di business già avviati.Patrizia Tettamanzi

Patrizia Tettamanzi

Non sono mancate iniziative a sostegno dell’imprenditoria femminile, ad esempio:

  • all’inizio degli anni Novanta con la Legge 215 del 1992, in cui si richiedeva a imprese, associazioni, enti, ordini professionali di riservare alle donne una quota non inferiore al 70% dei posti disponibili nelle varie iniziative;
  • più recentemente con l’istituzione di un Fondo per le imprese al femminile (L. 178 del 2020) e con i vari provvedimenti nell’ambito del PNRR.

Perché allora le donne faticano ancora ad accedere a finanziamenti a sostegno dei propri progetti?

P.T.: “Dalla nostra ricerca è emerso come un fattore vincente per le imprenditrici di successo consista nella capacità di fare rete: nello sviluppo di progetti e idee, infatti, le donne tendono a circondarsi di persone fidate e appartenenti alla propria sfera di affetti personali (amici/amiche, familiari, parenti e così via).

Questi soggetti non solo forniscono un sostegno al progetto, ma contribuiscono al suo sviluppo anche con le proprie risorse finanziarie, il reperimento delle quali è particolarmente ostico per le imprenditrici.

Precedenti studi hanno infatti dimostrato come per le donne sia più difficoltoso ricevere finanziamenti tramite i canali tradizionali (ad esempio facendo richiesta a un intermediario finanziario): i loro progetti sono considerati più rischiosi rispetto a quelli dei colleghi uomini, pertanto vengono loro proposte condizioni di finanziamento più svantaggiose. Ancora oggi sembra persistere il pregiudizio culturale che vede nella donna un soggetto debole e inadatto a un percorso professionale di questo tipo.

Numerosi studi, tuttavia, sottolineano come le donne alla guida di società sappiano imprimere una particolare impronta culturale al proprio ruolo, grazie alla capacità di cogliere e interpretare meglio dei loro colleghi maschi le istanze dei collaboratori e degli stakeholders.”

Questa lettura trova riscontro nelle vostre ricerche?

“Assolutamente sì. Già in precedenza la letteratura sul tema ha dimostrato come le donne siano in genere più propense a prestare ascolto alle esigenze dei collaboratori e particolarmente attente allo sviluppo delle risorse con cui instaurano un rapporto lavorativo.

Tale elemento trova conferma anche nei casi da noi studiati, che analizzano la presenza di un’intersezione tra il fenomeno dell’imprenditorialità femminile e il sempre più discusso tema della sostenibilità: quest’ultima infatti include non sono le problematiche ambientali, ma anche – è bene ricordarlo – la cura della dimensione sociale.

Le donne imprenditrici si sono dimostrate lungimiranti in merito poiché, già prima che si diffondesse l’attuale attenzione a questo aspetto, rispetto ai colleghi maschi che ricoprivano il medesimo ruolo loro erano caratterizzate da una più spiccata tendenza a coltivare i rapporti con i propri collaboratori.

Inoltre, molti casi di business guidati da imprenditrici femminili nascono per propria natura sotto una spinta sociale e sono volti alla valorizzazione di altre donne in difficoltà.”

Si può affermare che la maggior attenzione delle imprenditrici e delle manager ai cambiamenti culturali consente di interpretare in modo originale il tema della sostenibilità nella Moda?

“Senza dubbio. Anche in questo caso le donne si dimostrano “vincenti”, per due motivi principali:

  1. la capacità di reinventare il business in chiave creativa (in termini sia di prodotto sia di processo);
  2. la volontà di invertire il trend del Fast Fashion, che porta a un consumo eccessivo di prodotti.

Con riferimento al primo punto, tra i casi da noi studiati emergono giovani imprenditrici che riciclano gli scarti della produzione del marmo per produrre capi d’abbigliamento, altre che riutilizzano i vecchi corredi delle nonne, altre ancora che fanno del loro processo produttivo uno strumento per dare una nuova vita a donne in difficoltà e reinserirle all’interno della società.

Relativamente al secondo punto, un denominatore comune di questi casi riguarda la volontà di percepire la Moda e il processo di acquisto come un’attività denotata da caratteristiche positive e potenzialmente in grado anche di far del bene.A dispetto dell’odierna tendenza legata all’acquisto impulsivo e compulsivo di capi d’abbigliamo, dunque, si predilige un acquisto riflessivo e regolato in base a parametri più “elevati”. ”

Imprenditrici italiane e Agenda 2023

Il punto 5.5 del 5° obiettivo dell’agenda 2030, relativo all’uguaglianza di genere, recita: “Garantire piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership a ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica”. Quanto siamo lontani dal vedere questo principio trasformato in un impegno concreto?

P.T.: “Purtroppo, i dati confermano che ancora oggi la partecipazione femminile (soprattutto nelle posizioni apicali) è numericamente limitata.

A ciò si aggiunge un ulteriore problema relativo al processo di selezione delle donne inserite nelle diverse posizioni. Se si considera la composizione dei Consigli di Amministrazione, per fare un esempio, le politiche di quote rosa hanno come risultato una minima partecipazione della presenza femminile, ma questo non garantisce il raggiungimento di un livello di influenza sufficiente per impattare effettivamente sulle decisioni e sull’operato dell’Organo amministrativo.

Ricerche dimostrano, inoltre, come spesso le donne siano selezionate non tanto sulla base dei propri meriti effettivi e della propria formazione, quanto unicamente per rispettare i requisiti legali imposti. Ciò limita ulteriormente il loro possibile contributo. Sempre nel mondo delle aziende, si osserva spesso come alle donne siano riservate per lo più posizioni amministrative, con scarso potere decisionale e/o strategico. In conclusione, nonostante diversi progressi siano sicuramente riscontrabili, la strada da percorrere è ancora lunga.”