Avv. Giuseppe Croari – Dott. Francesco Zizzo
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Recentemente, la Corte di cassazione si è espressa su un ambito alquanto controverso del diritto industriale: il rapporto fra la tutela di un marchio notorio registrato e la sua riproduzione – senza averne titolo – su di un prodotto industriale
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Ci si è sempre chiesti quale sia l’effettiva portata dell’art. 7, comma 1, lettera e) del Regolamento (UE) 2017/1001, il quale prevede che siano esclusi dalla registrazione “i segni costituiti esclusivamente:
- dalla forma, o altra caratteristica, imposta dalla natura stessa del prodotto;
- dalla forma, o altra caratteristica, del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico;
- dalla forma o altra caratteristica che dà un valore sostanziale al prodotto”.
Il legislatore europeo ha ritenuto opportuno escludere la tutela della forma in sé in quanto potenzialmente preclusiva del progresso industriale dei prodotti.
Il pericolo, infatti, è quello di impedire ad altri produttori di utilizzare forme funzionali alla migliore utilità del prodotto, ma che non hanno alcun rilievo a livello di design.
L’art 473 del Codice penale punisce:
“Chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali. Ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati”.
Ad una prima lettura, potrebbe sembrare che la norma protegga come bene giuridico unicamente la proprietà intellettuale individuale. Con questa norma, in realtà, si cerca di tutelare la fede pubblica intesa con un connotato economico: l’affidamento che il consumatore ha nei confronti del prodotto, più precisamente del marchio.
Il marchio infatti ha una sua funzione di riconoscimento presso il pubblico ed è necessario che tale funzione non venga ostacolata attraverso marchi “imitatori”, al fine di non generare confusione nel consumatore.
Scongiurare la confusione tra marchi
Il reato sfrutta una concezione oggettiva di fede pubblica, per cui la Cassazione ha chiarito che – ai fini dell’integrazione del reato – non è necessaria una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto.
Al contrario, in presenza di una contraffazione:
“i reati sono configurabili anche se il compratore sia stato messo a conoscenza dallo stesso venditore della non autenticità del marchio” (Cass. Pen., Sez. II, n. 28423/2012).
La confusione che la norma vuole scongiurare è tra i marchi, non tra prodotti: cioè tra quello registrato e quello illecitamente riprodotto. Ciò che la legge punisce è la riproduzione – senza averne titolo – del marchio registrato su di un prodotto industriale.
Nella sentenza citata, i fatti riguardavano la vendita di una linea di prodotti che imitavano esplicitamente marchi di lusso più conosciuti ma avevano il disclaimer “falso d’autore”. La Cassazione, in ragione di quanto indicato, ha ritenuto comunque integrato il reato di contraffazione.
La tutela della forma del prodotto
Già l’art. 3 lettera e) della Prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa, aveva escluso dalla tutela riconosciuta ai marchi di impresa “i segni costituiti esclusivamente:
- dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto;
- dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico;
- dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto”.
Tuttavia, l’impedimento alla registrazione prevista dall’articolo sopra citato non si applica quando la domanda di registrazione come marchio verte su una forma di prodotto nella quale un altro elemento (come un elemento ornamentale o di fantasia, che non sia inerente alla funzione generica del prodotto), svolge un ruolo importante o essenziale (CGUE, Grande Sezione, 14 settembre 2010, sentenza Lego Juris c. UAMI).

Un caso giuridico italiano
In Italia, su questa tematica, nel 2022 abbiamo avuto un interessante caso su cui la Cassazione ha avuto modo di esprimersi. La vicenda riguardava la tutelabilità della tipica forma delle borse di Hermés.
Nel caso di specie, un imprenditore toscano commercializzava delle borse con la stessa forma delle borse del marchio di lusso.
I giudici della Cassazione sono partiti da una giurisprudenza europea secondo cui:
“non si può tuttavia escludere che l’aspetto estetico di un marchio che assume (una determinata) forma possa essere tenuto in considerazione, tra gli altri elementi, per accertare uno scostamento dalla norma e dagli usi del settore, purché tale aspetto estetico sia inteso come richiamante l’effetto visivo oggettivo e inusuale del design specifico del marchio suddetto” (sentenza del 12 dicembre 2019, Euipo/Wajos, C-783/18, p. 32 – Tribunale UE, 14 luglio 2021, T488/20).
Da questo assunto, la Corte ha fatto derivare il principio secondo cui la forma assume rilievo quando – per le sue caratteristiche inusuali – rende il marchio riconoscibile presso i consumatori, ma non si ferma qui.
In questo caso la Cassazione, infatti, esalta l’argomento evidenziando che tale riconducibilità della forma al marchio può essere anche il frutto di una massiva campagna pubblicitaria, come era avvenuto nel caso in questione.
Il giudizio di contraffazione alla luce del carattere notorio del marchio
Un marchio può avere una diffusione tale presso il pubblico di riferimento da diventare “notorio”. Non esiste una vera e propria definizione di questo termine, a cui la legge ricollega degli effetti ben chiari.
Neanche la giurisprudenza permette di chiarirne del tutto i confini, perché ritiene che il carattere notorio ricorra tutte le volte che l’uso non autorizzato del marchio:
- conferirebbe un “indebito vantaggio” ai terzi medesimi;
- o, in alternativa, comporterebbe un “pregiudizio” alle caratteristiche di distintività o notorietà del marchio che gode di rinomanza.
Questa definizione lascia qualche margine di ambiguità, visto che sfrutta la disciplina che si applica a tale termine per spiegare la natura della qualifica.
Il giudice di legittimità in una recentissima giurisprudenza (Cass. Pen. Sez. V, Sent. 14578/2025) ha segnalato come, nell’ipotesi di un marchio notorio “il pubblico può trasferire sul prodotto o sul servizio dell’imitatore una parte delle valenze particolarmente positive che riconosce al marchio originale”, compiendo perciò una lesione alla fede pubblica economica, così come descritta prima.

Conclusioni
In altre parole, il marchio che gode di rinomanza – grazie alla forte pubblicità voluta dal suo titolare e ad un massiccio uso nel tempo – possiede in sé un particolare potere simbolico-attrattivo che, nel tempo, rende il tale marchio simbolo del settore, con conseguente potere di orientare o influenzare le scelte dei consumatori.
Di conseguenza, nel caso di un marchio “forte” come qui sopra definito, dovranno considerarsi illegittime anche variazioni che, sia pure rilevanti e originali, lascino sussistere un collegamento con il marchio notorio (Cass. pen. Sez. 2, n. 40324 del 07/06/2019, relativa al caso Moncler).
La Corte di Cassazione, con la sentenza 14578/2025 sopra citata, ha infatti ribadito quello che in dottrina e nella giurisprudenza ordinaria si sosteneva da tempo:
“Integra il reato di cui all’art. 473 cod. pen. anche la riproduzione della tipologia, della forma e delle dimensioni di un prodotto appartenente un marchio “rinomato”, ove pure tale marchio non venga riprodotto nel prodotto medesimo, a condizione che si accerti che la suddetta riproduzione abbia caratteristiche idonee a trasferire sul prodotto oggetto dell’imitazione il potere di individuazione dell’originale”.