Avv. Giuseppe Croari – Dott.ssa Rebecca Princi
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Il mercato del Fashion second hand negli ultimi anni sta vivendo una crescita esponenziale. Questo come si coniuga con le regole che governano il mondo della proprietà intellettuale? Quali sono gli strumenti che consentono a brand e intermediari di tutelarsi da abusi e contraffazioni?
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Il trend degli abiti usati è in costante crescita: lo confermano i dati che, ogni anno, risaltano sulle pagine di siti e riviste specializzate.
Ad esempio, secondo il rapporto di Vestiaire Collective e Boston Consulting Group (BCG) del 2022, il mercato della Moda di seconda mano avrebbe raggiunto nel 2022 un valore di 100-120 miliardi di dollari, destinato ad aumentare del 20-30% l’anno. È in linea anche lo studio di Global data e Thredup, secondo il quale il valore del mercato sarebbe destinato a toccare i 350 miliardi nel 2027.
Le cause di questa tendenza sarebbero molteplici: tra queste, l’aumentata sensibilità degli acquirenti per la sostenibilità delle proprie abitudini di consumo, e un’indubbia diffusione del gusto per l’estetica vintage, che riesce a soddisfare l’esigenza di unicità delle nuove generazioni molto meglio del Fast Fashion.
Vediamo cosa tutto questo comporta per i brand e i consumatori in termini di tutela della proprietà intellettuale e lotta alla contraffazione.
In Italia, in Unione Europea e non solo, la tutela del marchio sottende la sua registrazione presso gli uffici competenti: la registrazione conferisce al titolare del marchio il diritto di uso esclusivo del segno depositato per le prescelte categorie di prodotti o servizi. Ciò significa che solo la persona fisica o giuridica titolare del marchio registrato potrà utilizzarlo, ed eventualmente autorizzare l’utilizzo di quest’ultimo da parte di terzi.
Tale istituto ricopre ormai un ruolo fondamentale in questo settore del mercato.
Guardando il fenomeno da un punto di vista economico, l’esclusiva sul marchio rappresenta un forte incentivo per le aziende a produrre beni di qualità costante, anche al fine di creare e tutelare una propria reputazione. In ciò, il marchio racchiude in sé quel che è stato definito come il “capitale pubblicitario”, o “selling power” o, in altre parole, l’avviamento dell’azienda.
Il principio di esaurimento
Alla luce del quadro ricostruito, sorge una domanda: come può un terzo rivenditore beneficiare della forza attrattiva di un marchio che è nell’esclusiva disponibilità di terzi? È lecito che il terzo rivenditore del capo usato incassi il prezzo di un prodotto che, con ogni probabilità, è stato acquistato esclusivamente per la rinomanza della sua marca?
A tale annosa domanda ha offerto una risposta il legislatore europeo con la Direttiva Europea 2008/95/CE (le cui indicazioni sono poi state recepite nel nostro Codice della proprietà industriale) basandosi sul c.d. principio di esaurimento: il diritto di esclusiva sul marchio si esaurisce dal momento in cui il bene “protetto” viene messo in commercio dal titolare del marchio, o da altri con il suo consenso. In altre parole, l’esclusiva è limitata al primo atto di messa in commercio e non può essere invocata nella successiva circolazione del prodotto.
Ciò deriva da un fondamentale principio di ordine pubblico economico, quello della libera circolazione delle merci: in un’economia di libero mercato, non è tollerabile che il titolare del marchio interferisca e limiti in maniera illimitata la circolazione delle merci. Tale principio è valido sia nel mercato nazionale, che nel mercato europeo.
Perciò, non può esservi alcun dubbio: il privato che acquisti il capo d’abbigliamento firmato e che decida di rivenderlo su una delle tante piattaforme on-line sorte allo scopo agisce – nei limiti di quanto preciseremo di seguito – nel pieno dei propri diritti.
Quale ruolo per i brand?
Resta dunque da chiedersi quale ruolo e quale tutela rimanga per i titolari dei marchi di Moda.
Dal punto di vista economico, anche quando vengono esclusi da questa fetta di mercato, i titolari dei brand godono dell’effetto pubblicitario che il mercato del second hand indubbiamente può offrire. I prezzi solitamente più popolari dei vestiti usati e “preloved”, infatti, consentono ai marchi del Lusso di entrare in contatto con una fetta di clientela che, altrimenti, rimarrebbe loro estranea.
Le società che non accettano di essere escluse da questo mercato hanno deciso di sporcarsi le mani e investire con partecipazioni nelle società di gestione degli e-commerce dedicati, o di aprire propri punti vendita dedicati.
La rete di distribuzione selettiva
È vero che la tutela del mercato impone la libera circolazione delle merci, ma con alcuni limiti. L’articolo del Codice di proprietà industriale, nel regolare il principio di esaurimento, chiarisce:
“Questa limitazione dei poteri del titolare, tuttavia, non si applica quando sussistano motivi legittimi perché il titolare stesso si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio”. (art. 5 D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30).
Tra i motivi legittimi di opposizione all’ulteriore commercializzazione dei prodotti è possibile annoverare la sussistenza di una “rete di distribuzione selettiva” che la normativa europea la definisce come un sistema di distribuzione nel quale:
- il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati;
- questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema.
Il limite al principio di esaurimento
Nel quadro di un simile sistema di distribuzione, dunque, il titolare del marchio ha la possibilità di interferire con la circolazione dei prodotti contrassegnati, in deroga al principio di esaurimento.
Ciò, a due condizioni:
- che “il prodotto commercializzato sia un articolo di lusso o di prestigio che legittimi la scelta di adottare un sistema di distribuzione selettiva”;
- che “la commercializzazione del prodotto determini un pregiudizio per la reputazione del marchio” (così Corte Giustizia, sentenza 23.4.2009, causa C 59/08, Copad contro Christian Dior; Cass. civ., Sez. I, Ord., 14/03/2023, n. 7378).
La distribuzione di un prodotto di prestigio non può infatti prescindere dalla conservazione di quella “aura di lusso” che lo contraddistingue presso il pubblico: per cui, qualora le concrete modalità di vendita siano tali da ledere l’immagine del bene e del brand, il titolare del marchio potrà opporsi alla sua distribuzione.
La contraffazione è senza dubbio uno dei rischi più importanti nel mondo del second-hand di lusso:
- per il consumatore finale che potrebbe ricevere, suo malgrado, un bene diverso da quello promesso, o comunque di valore nettamente inferiore;
- per l’intermediario, piattaforma o store, che potrebbe incorrere in addebiti di responsabilità, a vario titolo, per la messa in commercio di beni che non solo violano la disciplina civilistica in materia di proprietà industriale ma sono anche il prodotto di un reato.
Infatti, il nostro ordinamento tutela i segni distintivi non solo sul piano civile-amministrativo, ma anche sul piano penale, ritenendo che loro alterazione o contraffazione sia un illecito in grado di ledere il bene fondamentale della “fede pubblica”.
Perciò la contraffazione o l’alterazione di marchi, ossia l’uso di marchi contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da 2.500 a 25.000 €.
Il ruolo delle Piattaforme
Per tutelare il proprio business e i propri utenti, le più importanti piattaforme che ospitano e-commerce di beni di seconda mano hanno ideato diverse strategie di autotutela.
Un primo strumento fondamentale è certamente costituito dai Termini e Condizioni dell’e-commerce.
- I Termini dettano le regole di impiego e navigazione delle piattaforme, con efficacia del tutto speculare a quella di un regolamento contrattuale: il soggetto che scelga di avvalersi della piattaforma, dovrà accettarne le condizioni, pena l’esclusione dalla fruizione del servizio.
- Nelle Condizioni, dunque, potranno essere inserite indicazioni e procedure ad hoc per valutare l’autenticità del prodotto e/o la presenza di eventuali ulteriori violazioni della normativa in materia di proprietà industriale.
Inoltre, le piattaforme offrono sempre più spesso servizi di autenticazione dei prodotti, al fine di prevenire qualsivoglia controversia relativa alla loro autenticità.
Il processo, consistente in una vera e propria perizia svolta da esperti del settore, è uno strumento fondamentale a garanzia del rispetto e dell’implementazione delle leggi vigenti.