Tessile-Moda Made in Italy, delocalizzazione e produzione di DPI

Avv. Giuseppe Croari – Avv. Alessandro Milito

Tra i tanti temi sollevati dalla lotta al Covid-19, quello dei limiti della globalizzazione terrà a lungo impegnati i commentatori del presente e del domani.
In un’emergenza in cui la pandemia non fa alcuna distinzione tra confini e barriere di ogni tipo, riemerge tutta la fragilità di quelle nazioni che hanno delocalizzato massicciamente la produzione di alcuni beni.

L’Italia si è quindi ritrovata a dover scontare la drammatica carenza di oggetti, tanto piccoli quanto essenziali, in giornate difficili come queste: le ormai celebri mascherine chirurgiche e le più richieste, ovvero quelle con filtro di protezione FFP2 o FFP3.

La corsa globale all’approvvigionamento ha reso le mascherine difficilmente reperibili sul mercato. Non solo: tutti gli Stati sono dovuti ricorrere ai ripari riconvertendo interi settori del loro sistema industriale. Obiettivo: raggiungere una difficile autarchia nella produzione di mascherine, camici e di ogni dispositivo di protezione individuale utile a contrastare la diffusione del virus.

Gli incentivi del decreto “Cura Italia”

Il decreto legge n. 18 del 17 marzo scorso, il c.d. “Decreto Cura Italia”, tra le misure di potenziamento del sistema sanitario nazionale, all’art. 5 ha disposto una serie di incentivi per la produzione e la fornitura di dispositivi medici e, in particolare, per la produzione di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale.
Il decreto ha previsto lo stanziamento di 50 milioni di euro per sostenere tutte quelle imprese intenzionate a riconvertire la propria attività per produrre questi indispensabili presidi medici.

Non solo: l’articolo 15 del “Cura Italia” ha ulteriormente semplificato gli adempimenti amministrativi per la produzione e la messa in commercio delle mascherine. Per tutto il periodo dell’emergenza la produzione potrà avvenire parzialmente in deroga alle disposizioni vigenti in materia.
Alle aziende che intenderanno avviare tale attività sarà richiesto l’invio di un’autocertificazione all’Istituto Superiore di Sanità, nel caso di produzione di mascherine chirurgiche, o all’INAIL, per la fabbricazione di altri dispositivi di protezione individuale. Le imprese dovranno dichiarare (assumendone la responsabilità) che le mascherine che intendono produrre sono conformi ai requisiti previsti dalla norma tecnica UNI EN 14683:2019 “Maschere facciali ad uso medico – Requisiti e metodi di prova”. L’I.S.S. e l’I.N.A.I.L. entro tre giorni si pronunceranno sulla corrispondenza dei prodotti alle condizioni richieste e approveranno o meno l’avvio della produzione.

La risposta dell’Industria della Moda e del Tessile

La stretta imposta dal Governo sulle attività produttive ha di fatto sospeso tutte le attività del settore Moda-Tessile. Queste, infatti, non sono state incluse nella lista del DPCM del 22 marzo 2020 che ha individuato le filiere essenziali che devono rimanere aperte.

Tuttavia, molte imprese del settore, tra le quali rientrano alcuni dei brand più celebri del Made in Italy, hanno risposto all’appello lanciato da Confindustria Moda, Cna Federmoda e Sportello Amianto Nazionale. L’iniziativa ha mobilitato oltre 200 aziende del settore che intendono riconvertire la loro produzione per destinarla all’obiettivo comune: garantire un’adeguata disponibilità di mascherine e camici di protezione in Italia. Era dal secondo conflitto mondiale che alle aziende della Moda e del Tessile non veniva richiesto di impiegare la propria produzione per un’emergenza comune.

Il Commissario straordinario del Governo per l’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, ha annunciato che le prime 25 aziende del settore hanno avviato una produzione di circa 200.000 mascherine al giorno, dato destinato ad aumentare con il passare delle settimane. Queste produzioni saranno destinate a coprire, tramite la Protezione Civile, il fabbisogno delle regioni italiane. Lo stesso sforzo produttivo è stato destinato alla produzione di camici da destinare al personale sanitario in difficoltà.

La mobilitazione del mondo della Moda si inserisce tra le tante iniziative messe in atto per rendere l’Italia sempre meno dipendente dalle importazioni da altri Paesi, in un anacronistico ma necessario ritorno alla “produzione autarchica”, resasi indispensabile nella lotta a una pandemia così violenta e inaspettata.

 

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