Avv. Giuseppe Croari – Dott. Pietro Sambataro
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Affermare l’immagine del proprio marchio presso il pubblico di riferimento è un processo lungo e difficile: sono molti, infatti, i fattori che potrebbero influire sulla brand image. Non si tratta solo della qualità del prodotto: si pensi, ad esempio, alle opinioni espresse sui social network da influencer e creator, alla pubblicità e, immancabilmente, alla tipologia distributiva.
Il modo con cui un bene viene commercializzato può diventare un fattore fondamentale per distinguersi dai concorrenti.

Proprio per questo motivo, nella Fashion Industry è frequente che le case di Moda vincolino contrattualmente i loro distributori, così da farli conformare a standard in linea con il loro posizionamento di mercato.

Nel mondo giuridico se ne parla in particolare in termini di “rete di distribuzione selettiva”.  È un’ipotesi molto delicata, che incide sulla concorrenza e sulla libertà di mercato. Sul punto, peraltro, si è recentemente pronunciato il Tribunale di Milano con un’ordinanza del 10 maggio scorso, riguardante un sito di e-commerce. Vediamo assieme in che termini.

La legittimità della rete di distribuzione selettiva

È opportuno chiarire che i sistemi di distribuzione selettiva sono legittimi solo a determinate condizioni (ne abbiamo parlato più diffusamente qui). In particolare:

  1. il prodotto deve essere ad elevato livello tecnico, per cui si rende necessaria un’assistenza tecnica ai consumatori, oppure di lusso. In questo caso si avrà l’esigenza di tutelare gli investimenti effettuati dal titolare.
  2. I criteri con cui il produttore individua i rivenditori devono basarsi su valutazioni qualitative. Non potrà porre in essere, invece, alcuna discriminazione.
  3. Le limitazioni delle libertà economiche di mercato non dovranno andare oltre a quanto necessario.

Solo a queste condizioni, infatti, si tratterà di “accordi che producono vantaggi in termini di efficienza, tali da compensare i possibili effetti anticoncorrenziali” (Trib. Milano, ord. del 10 maggio 2021).

Rete di distribuzione selettiva: i confini

Fino a che punto possono dispiegarsi gli effetti di una rete di distribuzione selettiva? Solitamente, il titolare dei diritti di proprietà industriali su un determinato bene esaurisce la sua esclusiva con la prima immissione in commercio. Una volta venduto un bene, dunque, non ne potrà controllare la successiva circolazione.

Tale principio, però, sarebbe di per sé idoneo a minare l’esistenza stessa di una rete di distribuzione selettiva. Quale interesse, dunque, è destinato a prevalere?

Secondo il Tribunale di Milano, quello del titolare del marchio di lusso, che potrà controllare la successiva distribuzione dei suoi beni. Sempre purché, però, siano rispettate delle condizioni. In particolare:

  • il sistema di distribuzione selettiva deve essere legittimo e volto a tutelare prodotti contraddistinti da un marchio. Evidentemente, ciò varrà per i beni di lusso;
  • si possa ritenere che dalla commercializzazione all’infuori dei distributori selezionati deriva un pregiudizio all’immagine di lusso e al prestigio del marchio. Ad esempio, ciò si verificherà nel caso in cui si diffonda la convinzione che sussista un rapporto commerciale tra il produttore e il rivenditore estraneo alla rete. 

Conclusioni

Come si è visto, dunque, la legge ammette la costruzione di sistemi di distribuzione selettiva perché, a determinate condizioni, possono aumentare l’efficienza del mercato. Addirittura, la giurisprudenza è giunta a riconoscere la possibilità di opporre l’esistenza di tali reti di accordi anche ai rivenditori successivi al primo, derogando a un principio cardine del diritto industriale. Chi opera nell’industria della moda, specie tramite e-commerce e marketplace, farà dunque bene a tenerne conto.

 

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