Avv. Giuseppe Croari – Dott. Pietro Sambataro
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Per chi fa un lavoro creativo, i social media possono rappresentare un vero e proprio El Dorado: con costi spesso pari allo zero, ciascun artista, stilista, fotografo e videomaker può raggiungere un pubblico vastissimo. E le occasioni di profitto non si limitano alle commissioni: a seconda della piattaforma utilizzata, infatti, è possibile generare ricavi da pubblicità, product placement, abbonamenti, donazioni e tanto altro.

Ma non è tutto oro quel che luccica. Una delle problematiche più frequenti per chi si approccia al mondo di internet – specie se operante nel settore della Moda – è come tutelare la proprietà intellettuale. In altri termini, come garantire che il frutto dell’estro artistico e del duro lavoro di un artista non venga semplicemente copiato e utilizzato ad altri fini?

Una sentenza dello scorso 10 maggio del Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di imprese, ci spiega quando è possibile rivendicare la paternità di un’opera postata sui social network.

Cosa è successo

Nel recente caso al vaglio del Tribunale di Milano, una nota casa di Moda utilizzava l’opera che un pittore aveva pubblicato su Facebook qualche anno prima (l’icona “Madonna con foulard rosa con bambino”) riprodotta su pantofole e borse. Lo stesso soggetto era poi stato utilizzato per la pubblicità e nel corso di una sfilata.

Com’è intuibile, tali comportamenti non sono andati molto a genio all’artista, che ha deciso di rivolgersi a un giudice per tutelare i propri diritti.

Il primo grado, conclusosi con la sentenza del 10 maggio, ha dovuto affrontare la seguente questione: è sufficiente postare un’opera su internet per poterne rivendicare la paternità? Pubblicare la foto, ad esempio, di un quadro offre sufficienti garanzie sul fatto di averlo dipinto? In questo caso, la risposta dei giudici è stata un no. Vediamo perché.

La paternità di un’opera

Innanzitutto, va premesso che – come potrà sembrare ovvio – la legge considera autore di un’opera chi la crea, senza che sia a tal fine necessaria alcuna formalità. Non sarà, dunque, necessario registrare, pubblicare o depositare l’opera: la sola creazione conferirà all’autore il diritto a beneficiare della tutela prevista dalle leggi in materia di proprietà intellettuale.

Nonostante l’ordinamento giuridico affermi a più riprese questo principio (art. 2576 del codice civile e art. 106 della legge 633/1941) rimane comunque il problema per gli autori di provare l’atto della creazione, specie nei casi – analoghi a quello in esame – in cui la paternità viene contesa fra più soggetti.

Proprio per ovviare a questo problema, nel tempo sono stati elaborati degli escamotage: si pensi, ad esempio, al servizio offerto dalla SIAE di deposito delle opere inedite.

Come dimostrare la paternità di un’opera online

Tornando al caso in esame, dunque, vediamo come si è conclusa la vicenda: secondo i giudici di Milano, l’artista non aveva prodotto sufficienti prove della paternità dell’opera e, dunque, la condotta della casa di Moda poteva ritenersi legittima.

In particolare, a mancare all’appello erano i seguenti elementi:

  • la prova dei materiali e delle tecniche pittoriche utilizzate;
  • l’ubicazione attuale dell’opera;
  • la firma dell’artista sull’opera;
  • pubblicazioni o eventi pubblici in cui l’artista sia stato presentato come autore dell’opera;
  • l’eventuale esistenza di opere con caratteristiche simili, per cui sia stata attribuita con certezza la paternità all’autore.

In assenza di questi elementi, come garantire che non si sia trattata – ad esempio – di una foto a un quadro altrui?

Conclusioni

Per concludere, dunque, si è visto come la sola pubblicazione di una fotografia su Facebook sia insufficiente a provare la paternità di un’opera.

Per questo, stilisti, designer, fotografi e videomaker sono avvertiti e faranno bene a prendere le opportune precauzioni prima di postare online il loro lavoro.

 

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