Moda sostenibile

L’impronta ambientale dei prodotti moda

Armani, Gucci, Benetton, Geox, Pashmere, Cucinelli, Lanificio Leo, Cruciani, Cariaggi, Fabiana Filippi sono solo alcuni dei 200 soggetti che, tra imprese, comuni e università, hanno partecipato a un programma di valutazione dell’impatto ambientale dei loro prodotti

beab991b-f24c-40fc-8a27-3639ebf5bbd5La sostenibilità non è più percepita come un costo, un obbligo formale ma come un’opportunità di crescita qualitativa e di recupero di competitività dei sistemi produttivi. A sostenerlo, anche con esempi concreti, i relatori del convegno promosso dal Ministero dell’Ambiente e ITA (Italian Trade Agency, cioè la nuova agenzia dell’ICE) tenutosi a Milano.

Obiettivo: presentare i risultati di un progetto nazionale avviato nel 2009 ed esteso a molteplici contesti produttivi e tipologie di prodotti e servizi allo scopo di valutare l’impatto ambientale di singoli articoli individuando e monitorando gli interventi correttivi.

Il programma ha coinvolto oltre 200 soggetti tra imprese, comuni e università e ha naturalmente assunto come riferimento le direttive europee in materia di tutela dell’ambiente.

La partecipazione delle aziende è stata volontaria e la proposta di aderirvi lanciata dal Ministero è stata accolta con entusiasmo se si considera che solo un’azienda candidata su tre ha potuto accedervi sottoponendo propri prodotti all’analisi di valutazione ambientale. I prodotti analizzati sono stati 250 e riguardano naturalmente una molteplicità di settori: dall’alimentare all’edilizia, dai prodotti di largo consumo alle società assicurative.

Per quanto riguarda l’industria tessile e della moda hanno aderito: Armani, Gucci, Benetton, Geox, Pashmere, Cucinelli, Lanificio Leo, Cruciani, Cariaggi, Fabiana Filippi.

Un bell’esempio di collaborazione tra imprese, università e istituzioni a cui, ci auguriamo, ne seguiranno altri.

Quanto pesa la produzione di un capo sull’ambiente?

Domanda difficile, specie in un processo in cui materiali utilizzati sono molteplici e le fasi di produzione complesse e spesso difficilmente tracciabili. Quello che il progetto del Ministero ci offre è una metodologia avvallata da una serie di esemplificazioni applicate a contesti economici diversi.

I partecipanti hanno infatti accettato di sottoporre alcuni prodotti della loro produzione a un’analisi del Life Cycle Assessment mediante uno strumento diagnostico in grado di valutare l’impatto del processo di produzione dalla culla alla tomba in termini di produzione di C02 (Carbon Footprint) e di consumi idrici sviluppato dal Ministero con il supporto di università.

Per quanto riguarda il computo della Water Footprint il modello adottato, individua 3 tipologie di acque: acqua blu (acque superficiali e sotterranee destinate a scopi agricoli, domestici e industriali, in altre parole le acque in ingresso, verde (acqua piovana evapo-traspirata nel processo agricolo), grigia, risultante cioè dai processi industriali e civili.

La Water Footprint è quindi una misura volumetrica del consumo e dell’inquinamento dell’acqua che fornisce l’indicazione della sostenibilità spazio temporale della risorsa utilizzata nelle attività umane. Parametro fondamentale nell’industria della nobilitazione dei tessuti ma anche nella vita del prodotto essendo i lavaggi domestici e industriali un fattore di impatto ambientale non marginale.

Non poteva infine mancare un riferimento al social footprint, indicatore volto a misurare la responsabilità sociale delle imprese il cui controllo della supply chain è stato fortemente chiamato in causa da vicende epocali come le stragi di lavoratori tessili in Bangladesh nel 2013.

I risultati ottenuti dalla valutazione dei prodotti consente quindi di individuare le criticità e le azioni di mitigazione dell’impatto ambientale e/o di compensazione. I monitoraggi successivi hanno la funzione di registrare i risultati ambientali ottenuti in termini di riduzione della produzione di CO2.

La sostenibilità di un articolo a portata di smart phone

A conclusione dell’analisi, il prodotto viene dotato di un’etichetta marchiata Ministero dell’Ambiente che non solo enfatizza la partecipazione dell’azienda a questa iniziativa ma fornisce informazioni sulle sue performances ambientali. Mediante smart phone è infatti possibile accedere ai dati contenuti dal QR code posizionato sull’etichetta e relativi alla CO2 prodotta ma anche a materie prime e processi.

Un grande vantaggio per i consumatori che potranno conoscere la storia dei vitigni dei vini con l’etichetta Viva Sustainable Wine, delle bottiglie riciclate dell’acqua San Benedetto o del formaggio Nonno Nanni. L’Associazione Tessile e Salute ha inoltre comunicato l’avvio del programma di certificazione avviato con Unionfiliere allo scopo di garantire il rispetto del regolamento Reach e la tracciabilità della filiera (www.tessileesalute.it).

Un caso tessile

Come detto il tessile è un’industria difficilmente standardizzabile, anche la valutazione dell’impatto ambientale di una semplice Tshirt o di un braccialetto ricamato presenta molteplici difficoltà nel ricostruire le fasi di produzione della fibra e le sue trasformazioni industriali. Sono sicuramente avvantaggiate in questo processo le imprese che hanno sotto il proprio diretto controllo tutte le fasi della filiera mentre i processi di delocalizzazione tendono a rendere la supply chain meno verificabile. L’assenza di PCR (Product Category Rules) in grado di elaborare le relative dichiarazioni ambientali relative ai vari prodotti in modo coerente e confrontabile è forse la difficoltà principale.

Ci fa comunque oltremodo piacere apprendere che Benetton ha ridotto le emissioni grazie a un impianto termico di nuova generazione sui propri impianti produttivi in Tunisia, che i braccialetti di Cruciani si avvalgano dei filati in poliammide 6.10 di Radici Group ottenuti da acido sebacico ricavato dai semi della pianta dell’olio di ricino o che Armani sta sviluppando collezioni ispirate a logiche di sostenibilità. Sono tutti tasselli di uno sforzo comune che consentirà alla moda e al suo complicato apparato progettuale e produttivo di acquisire nuovi argomenti competitivi.

Un esempio interessante presentato nel corso del convegno riguarda un progetto italo-brasialiano realizzato dalla società Traces, brand molto famoso e apprezzato in Brasile. L’idea sviluppata dall’azienda è la produzione di borse e capi d’abbigliamento con la pelle del piraricu, un pesce locale allevato a scopo alimentare. Si tratta di un progetto interessante che parte dalla trasformazione di uno scarto dell’industria alimentare in un materiale di pregio per l’industria della moda e del design e l’attivazione di attività produttive in aree povere. In questo caso alla sostenibilità ambientale dei processi di lavorazione della pelle si aggiunge il valore della responsabilità sociale di impresa che genera lavoro e cultura del prodotto in una comunità.

di Aurora Magni