Avv. Giuseppe Croari – Avv. Eugenio Ferracane 
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Il Fast Fashion è un fenomeno che ormai da decenni ha preso piede nel settore della Moda e che indica la tendenza a progettare e proporre in vendita linee di modo in modo il più rapido ed economico possibile, spingendo i consumatori verso un sistema di acquisto a basso prezzo e a flusso continuo. I rischi determinati da questo fenomeno sono diventati nel tempo sempre più evidenti, sia a livello di sicurezza dei lavoratori, sia a livello di impatto ambientale.

Il grave incidente del Rana Plaza in Bangladesh (che, a causa di un crollo strutturale dell’edificio, determinò, nel 2013, circa 1.200 vittime), diventato ormai un caso di scuola e il più grave sinistro verificatosi in fabbriche del settore Tessile, dovrebbe essere un promemoria anche oggi dei limiti oltre cui non ci si dovrebbe spingere nonostante le esigenze di riduzione dei costi del Fast Fashion.

Quali conseguenze? Rischi e pericoli
L’e-commerce ormai esiste da più di vent’anni e, dopo la pandemia Covid-19, è ancora più diffuso. Questa tipologia di commercio assume dei significati vantaggiosi nei confronti del solo consumatore:

  • assenza di qualsiasi fatica o imprevisto connesso al percorrere le distanze;
  • raggiungibilità della piattaforma da ogni dove e maggiore soddisfazione;
  • maggiore tutela normativa (attraverso, soprattutto, il Codice del Consumo);
  • maggiori attenzioni agli acquisti (attraverso le recensioni degli acquirenti).

Il Fast Fashion, tuttavia, porta con sé molti rischi e altrettanti pericoli, a cui non sempre la normativa vigente riesce a porre effettivo rimedio:

  • assenza di standard qualitativi lavorativi universali (es. salario minimo, monte ore, sfruttamento minorile, misure di sicurezza, tutela della salute);
  • scarsa qualità delle materie prime e/o della mano d’opera;
  • enorme impatto ambientale in termini di sostenibilità.

Gli elementi in elenco sono tutti espressione della formula: minimi costi = massimi profitti.

Alcuni tentativi di risoluzione dopo il crollo del Rana Plaza: i codici di condotta

Alcune ONG insieme a industrie tessili di tutto il mondo, hanno adottato dei codici di condotta come possibili rimedi giuridici. Lo scopo è cercare di rafforzare le tutele anche per i lavoratori dei Paesi meno sviluppati a livello normativo in ambito di standard qualitativi e di sicurezza sul lavoro, come ad esempio:

  • Bangladesh Labour (amendment) Act del 2013 sul salario minimo;
  • Accord on Fire and Building Safetyin Bangladesh del 2013 sul controllo degli edifici, poi rafforzato nel 2018 con il Transition Key Accord;
  • International Accord for Health and Safety in the Textile and Garment Industry (l’elenco dei firmatari, aggiornato al mese di maggio 2022, è disponibile su https://internationalaccord.org/signatories).

In conclusione

Il Fast Fashion è annoverabile tra i fattori che aumentano il rischio ambientale provocato dal settore Tessile: bisogna al più presto individuare una soluzione che possa essere adottata da tutti.

A maggior ragione, ci si attende una costante reazione a queste problematiche anche dalle piattaforme online, considerando la maggiore accessibilità e di conseguenza una maggiore responsabilità nei confronti dei territori in cui operano a garanzia dei prodotti venduti.

Negli anni è diventata ormai una certezza che una tutela del mercato del lavoro mondiale con garanzie adeguate, salari minimi dignitosi e effettive tutele dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici sono dei costi che, anche se economicamente rilevanti, sono imprescindibili per un effettivo sviluppo dei mercati di riferimento.

 

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