Dazi americani vs moda italiana: preoccupazioni e incertezze

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di Avv. Giuseppe Croari – Dott. Francesco Rabottini

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Le relazioni commerciali tra UE e Stati Uniti hanno raggiunto una nuova dimensione di complessità in conseguenza della reintroduzione dei dazi all’importazione decisa dal presidente americano Donald Trump. Questo scenario, completato dall’annuncio di un ulteriore aumento del 20% su tutte le esportazioni europee, porta ad interrogarsi sulla natura dell’impatto che tale decisione avrà sull’industria della moda italiana.

Cosa sono giuridicamente i dazi?
I dazi possono essere definiti come imposte dirette sui consumi che colpiscono la circolazione dei beni da uno Stato all’altro. Esistono varie tipologie di dazi, che si differenziano a seconda dello scopo a cui tendono e alla relativa applicazione.

Al fine di comprendere la natura di questi strumenti, risulta utile fare un esempio, differenziando due tipologie di dazi, ossia quelli fiscali e quelli economici.

  • I primi sono diretti esclusivamente a fornire un’entrata allo Stato: questi gravano su merci prodotte soltanto all’estero delle quali non esistono surrogati interni, o anche la cui produzione interna risulta essere già tassata con un’imposta di fabbricazione.
  • I secondi, invece, sono diretti principalmente ad assicurare la protezione di alcuni rami della produzione nazionale: rendendo maggiormente onerosi i prezzi delle merci d’importazione rispetto a quelle nazionali, generano una differenza tra prezzi internazionali ed interni.

I dazi come possono incidere sul settore della moda?

Quello della moda costituisce uno dei settori maggiormente colpiti dall’aumento degli oneri economici: secondi solo al settore della meccanica, sia il settore fashion, sia il mercato del lusso, infatti, dovranno fare i conti con un aumento dei dazi già esistenti fino al 10%. Gli effetti negativi più importanti non riguardano esclusivamente le tariffe dirette e i mancati ricavi, ma anche l’impatto sulle fasi di produzione e distribuzione, a partire dalla fornitura fino ad arrivare alla distribuzione.

Come ben noto, l’Italia, seconda nel mondo solo alla Cina, rappresenta il primo esportatore in UE di prodotti TMA (Tessile, moda e Accessorio). In questo contesto, dato di fondamentale importanza per la realtà nazionale è rappresentato dal contributo degli USA al fatturato nel settore in parola: l’America è il terzo cliente per l’abbigliamento Made in Italy in valore, toccando percentuali che superano il 7% del fatturato annuale.

Questo dato assume sembianze macabre, visto e considerato che conseguenza fisiologica dell’aumento dei dazi sarà un corrispondente aumento dei costi per i consumatori americani: una drastica riduzione della domanda di prodotti Made in Italy negli Stati Uniti non potrà che avere effetti negativi sulla salute delle imprese italiane e dei loro lavoratori.

Cosa è stato previsto per mitigarli?

La competenza esclusiva in materia di politica commerciale appartiene alla Commissione Europea; pertanto, l’Italia non è nella posizione di negoziare direttamente con gli Stati Uniti. Conscio di ciò, il Ministro degli Esteri Tajani ha provveduto alla consegna nei confronti del commissario europeo per il commercio Maroš Šefčovič, di un elenco recante i prodotti italiani che più hanno bisogno di essere tutelati.

In attesa di eventuali manovre a livello comunitario, il Ministro ha sottolineato l’importanza di instaurare un dialogo con le imprese volto all’identificazione delle peculiari difficoltà di ognuna, suggerendo loro, oltre ad una diversificazione dei mercati, di puntare ai Paesi ad alto potenziale al di fuori dei mercati tradizionali.

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