Il tema della responsabilità sociale delle imprese appare in Italia poco prima del Duemila per manifestarsi in modo più evidente nel 2000 quando l’Amministrazione Regionale Toscana decide di indicare alle piccole, medie e microimprese una strada per rafforzare la competitività, da imboccare attraverso l’introduzione di un sistema gestionale certificato di responsabilità sociale
All’inizio degli anni Novanta due fenomeni di vasta portata rivoluzionano l’economia e la vita quotidiana del mondo intero. Da un lato emerge la globalizzazione, con la sempre maggiore interdipendenza delle economie del mondo. Dall’altro trionfa la rivoluzione tecnologica, con l’arrivo di internet e delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Queste ultime determinano un elemento di grande importanza che parte proprio alla fine degli anni Novanta e che riguarda il network naturale che si crea fra chi inizia a mettere in rete le informazioni sulle imprese che ledono i diritti del lavoro, fondamentali o dell’ambiente. Questo network crescerà velocemente e metterà a disposizione di tutti informazioni su comportamenti molto discutibili ma anche palesemente gravi di alcune imprese, più che altro a dimensione sovranazionale. Praticamente si costituisce spontaneamente un nuovo soggetto politico, quello dei consumatori critici, consapevoli, responsabili, etici che professano e praticano scelte di acquisto orientate all’attenzione del rispetto dei diritti delle persone e dell’ambiente. È qui che si innesca il bisogno delle imprese di tutelare la propria immagine e il loro agire.
Le imprese come possono dimostrare di operare in modo corretto?
È così che nasce il bisogno di dibattere intorno alla responsabilità sociale delle imprese (RSI) o corporate social responsibility (CSR), ai bilanci sociali, alle rendicontazioni responsabili, agli asset intangibili, alla sostenibilità delle produzioni. Quando sentirete questi termini potrete essere certi di essere entrati in un territorio di discussione che sta affrontando quanto si è posto sullo scenario italiano, europeo e internazionale agli inizi del secondo Millennio. Infatti il tema della responsabilità sociale delle imprese, che possiamo ritenere una cornice entro la quale agiscono molti contenuti e strumenti, appare in Italia un po’ prima del Duemila, quando alcuni docenti universitari appassionati di etica degli affari propongono a grandi imprese di confrontarsi su questo piano. Ma ancor di più si manifesterà in modo nitido e dirompente quando un’amministrazione regionale italiana, quella Toscana, individuerà, per l’appunto nel 2000, la volontà di indicare alle piccole, medie e microimprese (Pmmi**) una strada per rafforzare la competitività, da imboccare attraverso l’introduzione di un sistema gestionale certificato di responsabilità sociale. Inoltre il 18 luglio 2001 la Direzione Generale Occupazione e Affari sociali dell’Unione Europea pubblica il Libro Verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese”. E con questa comunicazione l’Europa apre il dibattito continentale e invita gli interlocutori europei a esprimere i commenti.
La responsabilità sociale delle imprese, quindi, nasce per tenere in piedi la reputazione delle imprese, ovvero la loro credibilità. Il dubbio su quest’ultima, e anche l’incapacità di scioglierlo, mette a rischio i fatturati. Poiché chi è critico non compra più i prodotti di una impresa ritenuta irresponsabile, ma non solo, dà indicazione agli altri di non comprare e costruisce campagne di comunicazione rumorose, chiamate boicottaggi, che arrivano oltre il web e approdano sui media più classici, cartacei e dell’etere con nomi importanti del giornalismo italiano e internazionale.
Allora si capisce perché la Regione Toscana nel 2000 decide di lavorare in modo strategico con le Pmmi proprio su questo tema e finanzia a fondo perduto il 50% del costo del percorso e del sistema gestionale certificato di responsabilità sociale delle imprese SA8000. La Toscana punta a rafforzare e introdurre pratiche di buona condotta dell’impresa con la parte fondamentale della produzione, i lavoratori ma anche con i fornitori, i consumatori, l’ambiente naturale e tutte quelle comunità che vivono sul territorio dove l’impresa impianta la sua produzione. La SA8000 implica anche l’impegno che ciò succeda nelle aziende fornitrici molto distanti, magari in un altro continente, spesso asiatiche o mediterranee. Insomma tutta la catena di fornitura deve esse coinvolta in questo processo gestionale.
Lo standard SA8000
La SA8000 (Social Accountability) è l’unico standard che, nel 2000, utilizza le Convenzioni e Raccomandazioni ILO sui diritti del lavoro, la Dichiarazione Universale dei diritti umani e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino.
Questi accordi internazionali sono racchiusi in 8 requisiti detti etici, che affrontano e chiariscono come comportarsi su: 1- lavoro infantile, 2- lavoro obbligato, 3- salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, 4- contrattazione collettiva, 5- discriminazione dei lavoratori, 6- procedure disciplinari, 7- metodi coercitivi, 8- retribuzione. Inoltre lo standard prevede il requisito 9- sistema di gestione e comunicazione che è appunto il passaggio fondamentale tra un dirsi responsabili in modo enunciativo e non rendicontabile o il farlo quotidianamente come politica aziendale e poterlo dimostrare cioè rendicontare.