In occasione del ventesimo anno di Filo, gli organizzatori hanno pensato di dedicare la prossima edizione a chi ha vent’anni.
“Una giovinezza che, secondo noi, è l’incubatore di tutte le chance di crescita, delle aziende come del Paese; che è saper cogliere le opportunità e avere la capacità di innovare e rinnovarsi, unita alla volontà di accettare le sfide, anche le più difficili, come sono quelle che si presentano oggi alle imprese tessili”, ha affermato Paolo Monfermoso, responsabile di Filo.
Giovinezza vuole dire moda (oggi meglio diremmo “mode”) per il semplice motivo che la giovinezza è sperimentale per sua natura ed è portatrice di una visione anticonvenzionale non avendo avuto materialmente il tempo di fossilizzarsi in canoni e stereotipi acquisiti.
Si vorrebbe inoltre che questo dedicare alla giovinezza la 40ª edizione di Filo fosse anche visto (come un modesto, ma convinto, tentativo di ritorno alla speranza di vivere un tempo “altro” rispetto a quello che stiamo vivendo da qualche decennio: un tempo in cui il futuro e per le persone e per le industrie non abbia più quel senso di occlusione che ci opprime da tempo.
Il compito dato è quindi quello di immaginare alcune proposte che non rispondano tanto ai canoni rigidi e codificati dello “chic” più o meno tradizionale, quanto alla direzione verso un rinnovamento compatibile con le istanze più attuali, anche se a volte queste possono sembrare meno “ortodosse” dal punto di vista dell’eleganza classica.
Il mood principale che si è cercato di trasmettere è quello di un rimescolamento e di una giustapposizione di aspetti tessili non sempre “armonici” dal punto di vista tradizionale, ma che da tempo fanno parte della nostra estetica quotidiana, della vita che vediamo per strada o di quella che ci propongono i media.
L’origine del fenomeno è senza equivoci né possibili contestazioni: tutti noi, ma in particolare i giovani, viviamo immersi nella iper-comunicazione e questa, come ha sottolineato Gianni Bologna, responsabile creatività e sviluppo prodotto di Filo, è diventata la grande formattatrice del virtuale, ma anche del reale. A differenza dei fenomeni formattatori del passato, la novità realmente rivoluzionaria di quello di oggi è non ci chiede di uniformarci, di rinunciare a opinioni, gusti e orientamenti personali. Ci invita al contrario a formulare la nostra opinione (vedasi il dilagare dei “mi piace” sui social network ed altrove). Di fatto, oggi non è certo il pensiero, l’analisi, la riflessione il vento che gonfia le vele del personalismo, ma è il gusto. E questo significa molto semplicemente che dalla adesione ideologica siamo passati alla concupiscenza, alla semplice preferenza, al capriccio infantile. Ovvero, al trionfo della iper-personalizzazione. Che però, a ben riflettere, ci costringe a prendere atto che tutti siamo immersi in un mondo (un po’ schizofrenico) in cui le differenze sono “differenze di massa”.