La sostenibilità nella moda non è un argomento “di moda” ma un cambiamento radicale nel modello economico di una tra le più grandi industrie globali, quella del fashion. Un cambiamento che coinvolge la chimica, il tessile, il mondo delle tecnologie e della logistica, l’industria degli accessori, la distribuzione, il terziario. E in questo scenario la filiera tessile italiana è in grado di dimostrare che si può ridurre l’impatto ambientale delle produzioni senza rinunciare a realizzare articoli belle e performanti.
Questo in estrema sintesi quanto è uscito dal convegno realizzato venerdì 19 giugno in Università Cattolica nell’ambito dell’evento Fashion Tales. Il Convegno promosso da Blumine/sustainability-lab, la società di ricerca e consulenza che da anni si occupa di moda e tessile sostenibile, ha attirato un vasto pubblico di ricercatori universitari ma anche imprenditori, consulenti oltre a un qualificato panel di relatori.
“Con questo evento abbiamo voluto dare voce ad alcune tra le molte imprese che in Italia lavorano per una moda sostenibile –ha dichiarato Marco Ricchetti di sustainability-lab e chairman dell’evento- I nostri ospiti hanno raccontato il percorso svolto dalle loro aziende e la loro visione della sostenibilità. Ne emerge un quadro di rigore metodologico che si concretizza nell’analisi delle criticità produttive, nella ricerca di approcci migliorativi e nella verifica dei risultati. Una visione a 360 gradi che non limita la sostenibilità alla riduzione dell’impatto ambientale ma la riconduce alla responsabilità sociale e al ruolo culturale dell’industria della moda”.
Il rigore scientifico è ben presente nell’esperienza di Radici Group. Filippo Servalli, Corporate Marketing Manager del gruppo chimico bergamasco, ne descrive l’ approccio a 360 gradi (tecnologie, ricerca su prodotti e processi, impegno sociale) che si evidenzia nell’adozione della metodologia LCA e delle sue più recenti evoluzioni alle famiglie di prodotti aziendali, nello specifico a poliammidi e poliesteri. “È fondamentale dotarsi di metodi che consentano di vagliare in modo oggettivo aspetti quali la riciclabilità e la biodegradabilità dei materiali per compiere le scelte più sostenibili. Le fibre chimiche sono cresciute enormemente e continueranno a crescere, renderle riciclabili e ridurre i valori di energia necessari a produrle è fondamentale”.
Dalle fibre man made alle fibre nobili. Di Canepa si è parlato molto essendo stata la prima impresa tessile al mondo a sottoscrivere Detox. Questa impresa del lusso che con i suoi 750 addetti si considera “artigiana” ha saputo abbinare il valore del made in Italy con la ricerca scientifica e tecnologica. “Negli ultimi anni –spiega Alfonso Saibene, Direttore Sostenibilità e Supply chain del gruppo – abbiamo modificato tecnologie, modi di pensare e soprattutto abbiamo messo a punto soluzioni tecniche fortemente innovative come i trattamenti al chitosano –sostanza biologica ottenuti dagli scarti dell’industria agroalimentare- in sostituzione di sostanze chimiche tossiche. Il risultato: processi ecologicamente sicuri e prodotti migliori”.
“Il cotone non è famoso per essere un materiale eco-friendly.Basta pensare che per lavorare un paio di jeans sono necessari 8000 litri di acqua -ha esordito Gigi Caccia, titolare di Italdenim, azienda verticalizzata che nel 2014 ha sottoscritto l’impegno Detox di Greenpeace- Il cotone ha un impatto ambientale pesanti e racconta spesso storie di sfruttamento delle comunità. Un jeans sostenibile nasce dalla scelta della materia prima, per questo noi privilegiamo cotone biologico, BCI, Fairtrade. Ma è fondamentale valorizzare le opportunità che ci offre la ricerca scientifica. Abbiamo ad esempio sposato con entusiasmo il progetto SavetheWater di Canepa che con l’introduzione del chitosano nei processi di lavorazione ci permette di risparmiare acqua, evitare emissioni inquinanti ottenendo tessuti dalle prestazioni migliori rispetto a quelli lavorati con trattamenti convenzionali”.
Ma la moda non è solo tessuto. E’ anche accessori, ad esempio bottoni e zippers. Alessandro Bordigari, responsabile marketing della Ditta Giovanni Lanfranchi ha raccontato come un’azienda nata alla fine del secolo XIX decida di sposare il tema della sostenibilità. “Una chiusura lampo è un prodotto complesso essendo formata da una parte tessile, da metallo, da polimeri, da verniciature ed eventuali elementi decorativi, tutti componenti che la nostra azienda realizza nei propri reparti produttivi, praticamente a km 0, condizione che ci consente di monitorare le varie criticità della filiera e di sperimentare interventi correttivi. Recentemente, ad esempio, abbiamo realizzato un nuovo impianto di galvanica che consente di risparmiare acqua e sostanze chimiche in modo significativo. Oggi stiamo vagliando la possibilità di sottoscrivere l’impegno Detox ed eliminare dalle nostre lavorazione tutte le sostanze chimiche tossiche entro il 2020”.
A Tony Sadownichick, Head of Investigations di Greenpeace International, il compito di illustrare il punto di vista del movimento ambientalista su moda e sostenibilità. “La sostenibilità -ha dichiarato- è già qui con noi e diventerà sempre più importante perché i problemi ambientali sono molto seri e non limitabili a una singola area del mondo, riguardano tutti. Salvare l’ambiente è possibile solo a condizione che si lavori tutti insieme e l’industria da questo punto di vista può fare moltissimo come moltissimo possono fare le università da cui ci aspettiamo dati e studi che ci aiutino a individuare i problemi, capire come risolverli. Una ricerca danese pubblicata ad aprile, ad esempio, ha dimostrato che esiste una relazione tra l’aumento di aborti spontanei e l’uso di prodotti trattati con alcune sostanze della famiglia dei PFC utilizzati come impermeabilizzanti ed antimacchia e molto diffusi nei prodotti tessili. Conoscere gli effetti nel tempo di sostanze che inducono bio-accumulo nell’organismo umano permette di porvi rimedio. Il ruolo di GreenPeace è quello di dare visibilità a questi problemi, dare voce alle comunità che non posso farlo, stimolare l’adozione del principio di precauzione, chiedere al sistema industriale di valutare gli effetti di ciò che viene prodotto e immesso sul mercato. Noi di GreenPeace siamo però ottimisti. La risposta dei brand alla campagna Detox, la serietà con cui molte aziende tessili approcciano al tema della sostenibilità, come dimostra il convegno di oggi, ci fa dire che siamo sulla strada giusta.”
Ma le aziende che hanno preso la parola al convegno – ha ricordato Marco Ricchetti in chiusura di dibattito – sono solo una rappresentanza di quante hanno sposato l’impegno per una moda sostenibile.
Sustainability-lab ha infatti raccolto la testimonianza di un primo gruppo di aziende italiane tessili e le ha pubblicate nel sito www.change-makers.it. “Un racconto in evoluzione perché a queste altre se ne stanno aggiungendo a conferma di come la moda si stia attrezzando per diventare un’industria sostenibile nel lungo periodo. Altre imprese oltre a quelle già note stanno infatti approcciando la sottoscrizione dell’impegno Detox e questo si riflette su tutto il sistema perché ogni impresa coinvolge la propria rete di fornitori fino ai produttori di sostanze chimiche a cui spetta il compito di fornire ai produttori formulati sicuri ed eco-compatibili”. Ricchetti ha infine anticipato la prossima iniziativa a firma sustainability-lab: una ricerca sui principali produttori di coloranti e ausiliari tessili per conoscere le strategie di sostenibilità adottate dall’industria della chimica tessile. I risultati saranno pubblicati a settembre 2015.