avv. Gianluigi Fioriglio e dott. Luigi Dinella

La concorrenza parassitaria è un problema particolarmente sentito nella moda: è facile, infatti, pensare alla semplicità con cui può essere imitata e riprodotta la forma (o il disegno) di un prodotto tessile.

Proprio per questo motivo, non è infrequente, nel settore, l’utilizzo di pratiche scorrette che, facendo leva sulla fama e sulla diffusione di alcuni marchi o prodotti, sono indirizzate a riprodurre in modo sistematico ed evidente marchi, disegni o tonalità caratteristiche dei prodotti griffati con l’evidente fine di lucrare sfruttando il successo altrui.

Nel prosieguo dell’articolo indicheremo, inizialmente, con che modalità vengono disciplinate giuridicamente queste pratiche scorrette, per poi indicare gli specifici strumenti di tutela previsti dal nostro ordinamento.

La regolamentazione giuridica contro la concorrenza parassitaria

Cosa si intende? La concorrenza parassitaria è una continua e ripetuta emulazione da parte di un imprenditore di iniziative, innovazioni e perfezionamenti industriali, commerciali e pubblicitari di un concorrente: un imprenditore, ponendo in essere condotte del genere, potrebbe, evitando le spese di ricerca e sviluppo sostenute invece dal concorrente, mettere sul mercato prodotti del tutto simili, a prezzi più vantaggiosi.

Elementi necessari sono dunque, in primis, la ripetitività dei comportamenti emulatori e, in secondo luogo, l’immediatezza della riproduzione (così da approfittare delle iniziative economiche del concorrente ed evitare di sostenere ulteriori spese), nonché che entrambi i concorrenti abbiano la qualifica di imprenditori.

È evidente come condotte del genere meritino una regolamentazione giuridica che, da un lato tuteli l’imprenditore imitato e, dall’altro, non ostacoli la libera iniziativa economica, evitando di comprimere eccessivamente il gioco della concorrenza.

Affinché possa verificarsi questo tipo di pratica è innanzitutto necessario che i due imprenditori siano effettivamente concorrenti: è dunque necessaria una comunanza di clientela tra gli imprenditori, un territorio comune in cui i prodotti sono messi in commercio e che i prodotti abbiano caratteristiche idonee a soddisfare bisogni analoghi dei destinatari.

Per quanto riguarda la regolamentazione, occorre muovere i primi passi dal Regolamento CE 6/2002, nato con il fine di tutelare disegni e modelli di prodotti che, come quelli tessili, sono inidonei al brevetto (che risulterebbe un mezzo di tutela eccessivo vista la loro scarsa affermazione temporale sul mercato). Con tale Regolamento viene, dunque, concessa una tutela giuridica triennale e gratuita a disegni e modelli immessi sul mercato allo scopo di evitare imitazioni, ma è necessaria la presenza di determinati requisiti (in mancanza dei quali, l’unica soluzione è ricorrere alle tutele previste per la concorrenza sleale).

Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, la pratica della concorrenza parassitaria viene ricondotta dalla Giurisprudenza prevalente nell’alveo della concorrenza sleale, definita dall’articolo 2598 del codice civile.

Questo articolo, che prevede diverse tipologie di comportamenti definibili come concorrenza sleale (a. uso di segni distintivi utilizzati da altri; b. imitazione servile di pratiche e prodotti altrui; c. discredito di prodotti altrui o appropriazione di pregi non propri; d. violazione di correttezza professionale), mira a sanzionare tutti quei comportamenti diretti a falsare il libero gioco della concorrenza.

La repressione delle condotte di concorrenza sleale avviene indipendente dall’effettiva lesività del comportamento scorretto: quest’ultimo, infatti, non deve necessariamente essere dannoso per l’imprenditore imitato, ma, semplicemente, essere idoneo a tal fine (la tutela è preventiva). Dunque, le pratiche scorrette vengono represse in ogni caso, mentre il risarcimento (per l’imprenditore leso) è solamente eventuale.

I possibili rimedi

Per quanto riguarda gli strumenti di tutela di cui può avvalersi l’imprenditore danneggiato, dobbiamo differenziare due ipotesi.

Nel caso in cui le pratiche siano inquadrabili esclusivamente nell’alveo della concorrenza sleale, gli unici rimedi saranno quelli previsti dal Codice civile per questo genere di violazioni (ovvero dall’art. 2599, che prevede una possibile sentenza volta a inibire il comportamento scorretto, e dall’art. 2600, concernente la possibilità di risarcimento danni e pubblicazione della sentenza di condanna) nonché, in sede cautelare, dagli artt. 670 (sequestro giudiziario dei beni “copiati”), 671 (sequestro conservativo) e 700 (possibilità di richiedere un provvedimento d’urgenza per far cessare la violazione in vista del processo) del Codice di procedura civile.

 

Leggi l’articolo completo a pag.77 di Technofashion – giugno 2017

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