Il canto delle cicale

Risale al gennaio scorso la pubblicazione di un libro non facile che racconta la vicenda della Hitman, paradigma delle bolle del fashion system e dell’eterna lotta al diritto al lavoro.

Nelle pagine si intrecciano più storie: quella del sindacalista e quella delle operaie e, naturalmente, quelle degli attori economici, i cavalli di razza del business internazionale che  entrano in scena di volta in volta, per lo più facendo danni. Perché il sentimento che pervade le pagine è tutto sommato l’incredulità: come può un’azienda come Hitman voluta da un grande nome della moda come Cerruti finire male? Ma davvero non è possibile dire che in fondo si è trattato di un equivoco e che basta volere e si può ripartire?

E qui il racconto si fa complesso e malgrado gli sforzi dell’autore non è facile stare al passo con gli eventi di questa azienda, prima di successo e poi, dopo passaggi di proprietà e sbilanciamenti gestionali, oscure gestioni finanziarie, in bancarotta. Vi compaiono protagonisti di rilievo come Fin.Part, la società finanziaria a capo di un gruppo di oltre 2.200 dipendenti, i cui manager acquisirono notorietà sulle cronache giudiziarie per  quello che è stato considerato uno dei più grossi crack finanziari, tanto che la vicenda fu ribattezzata dai giornali  “la piccola Parmalat”. Una storia, quella della Hitman che non si risparmia niente per stupirci, neanche un Gheddafi faccendiere ed investitore finanziario!

“Nel libro ho utilizzato una metafora forte, quella del malato terminale per indicare il destino segnato e tuttavia indeterminato nel tempo di quello che spesso sembra essere «un accanimento terapeutico sui corpi inermi di fabbriche in disfacimento » e tuttavia, proprio come un medico responsabile, ho sempre ritenuto che nei limiti della ragionevolezza sia necessario tentare ogni soluzione se  all’orizzonte si intravede una possibilità. Nel caso Hitman non sono stati  il mercato o il prodotto le cause scatenanti della crisi, ma soprattutto i comportamenti illeciti di manager irresponsabili. In un paese dove da anni la distribuzione del lavoro si riduce progressivamente mentre l’intervento finanziario nell’economia reale cresce in modo esponenziale è doveroso pensare ad un nuovo comune destino lavorativo, ad una nuova “rivoluzione industriale”, capace di porre in equilibrio domanda, offerta e modelli di crescita sostenibile. Con altrettanta determinazione però è doveroso affrontare il tema del nuovo lavoro con i piedi piantati bene per terra: troppe sono le esperienze velleitarie, avulse dal contesto, prive degli elementari fondamentali economici che producono nuovi fallimenti e nuove frustrazioni. Immaginare un paese nel quale si introduca uno straccio di politiche di indirizzo, di specializzazioni, di accesso al credito, di sostenibilità, non è un’ingerenza da Repubbliche popolari, ma semplicemente il compito di uno Stato non assente”.

Tratto dall’intervista rilasciata dall’autore ad Aurora Magni in Il canto delle cicale, ovvero, la crisi dell’Hitman
Giuseppe Augurusa, 46 anni milanese di nascita e calabrese d’origine. Analista del lavoro in una grande industria italiana prima, dirigente sindacale poi, musicista appassionato di jazz e di politica durante. Due ragazzi ed una moglie magistrato riempiono la sua vita. 
Durante la vicenda della Hitman-Cerruti era segretario generale dei tessili milanesi della CGIL.

“Il canto delle cicale” è pubblicato da Minerva Edizioni.